Da un paio di anni non si parla più con enorme preoccupazione del buco nell’ozono sopra l’Antartide perché, in base alle nozioni fornite dalla NASA nel 2016, risultava in lento ma costante arginamento. In realtà le condizioni attuali non sembrano poi così immune da preoccupazioni. I cercatori del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) hanno osservato un importante rialzo di CFC-11 (una formulazione di clorofluorocarburi, formata da cloro,fluoro e carbonio, elementi chimici da sempre esistiti nell’atmosfera) ma che solo per mano dell’uomo sono aumentati di concentrazione, fino a spezzare il sano equilibrio esistente nella stratosfera (la parte di atmosfera che si estende ad una quota compresa tra 15 e 50 km, al di sopra della troposfera). La stratosfera è composta da uno strato di ozono, un gas essenziale alla vita sulla Terra per via della sua capacità di filtrare la luce ultravioletta dall’azione nociva dei raggi ultravioletti UV-B provenienti dal Sole. Quando si parla di buco nell’ozono si intende il graduale assottigliarsi dello strato di ozono (in stratosfera) che succede ciclicamente nel corso della primavera nelle regioni polari (la riduzione può arrivare fino al 70% nell’Antartide e al 30% nella fascia dell’Artide). Questo problema è sorto intorno agli anni 80, quando si capì che i CFC erano i principali responsabili della riduzione dello strato dell’ozono, poichè innalzandosi nella stratosfera distruggono le molecole di ozono. Proprio in quegli anni i CFC avevano trovato largo impiego come agenti refrigeranti, propellenti per aerosol e nella preparazione di materie plastiche espanse e altro ancora, registrando così una presenza di CFC molta pericolosa nell’atmosfera.
Nel mondo si producevano circa 350.000 tonnellate di CFC l’anno. Fu così che nel 1987 le nazioni del mondo firmarono il Protocollo di Montreal, che imponeva l’abolizione della produzione e nell’uso di tutti i composti che minacciano lo strato di ozono, e in particolare dei CFC. Di recente le misurazioni rilevate dal satellite Aura della NASA dimostrarono il declino delle sostanze nocive per l’ozono, un risultato che si ottenne proprio grazie al divieto internazionale di prodotti chimici, assicurando circa il 20% in meno di depauperamento dell’ozono durante l’inverno antartico rispetto al 2005. Purtroppo però ,come anticipato sopra, i ricercatori del NOAA denunciano che dal 2014 le emissioni di CFC-11 sono aumentate del 25 % rispetto alla media misurata tra il 2002 e il 2012. I dati sono nuovamente in rialzo lasciando pensare che qualcuno all’insaputa di tutti abbia ricominciato a produrre le sostanze letali per l’ozono. Dalle analisi appaiono abbondanti ammassamenti di CFC nell’emisfero settentrionale: alcune zone della Cina, della Mongolia e delle Coree, ma non essendo ancora in grado di stabilire le precise sorgenti dei gas non è possibile prendere i dovuti provvedimenti. Se lo strato di ozono dovesse assottigliarsi notevolmente negli anni a seguire, la vita sul nostro pianeta sarebbe messa a dura prova fino a gravissime ripercussioni che minano la nostra vegetazione e di conseguenza anche la stessa esistenza umana. Per questo motivo il problema del buco nell’ozono non è da sottovalutare e bisognerebbe circoscrivere nuovamente la produzione di agenti inquinanti al più presto!
Articolo di: Alessia Tumminello
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