La meteorologia dinamica è una scienza che non finisce mai di stupire. In questo articolo cercheremo di parlare delle “polar lows”, i profondi sistemi depressionari a mesoscala, a cuore freddo, che si sviluppano lungo i mari che circondano l’Artico, nell’emisfero boreale, e l’Antartide, nell’emisfero australe. Essi nascono solitamente sopra la linea del “fronte polare”, ma raramente possono arrivare a identificarsi con esso. In quest’ultimo caso non parleremo più di “polar lows”, ma di normali cicloni extratropicali delle medio-alte latitudini, che possono assumere comunque un grande sviluppo, usufruendo dei forti contrasti termici fra l’aria mite sub-tropicale, che sale dalle basse latitudini meridionali, e quella molto più fredda, che scivola dal mar Glaciale Artico. La pressione centrale, all’interno di questi sistemi ciclonici, può sprofondare anche sotto i 950-940 hPa, tanto da scatenare al proprio interno delle furiose tempeste di vento per il fittissimo “gradiente barico orizzontale” prodotto. Proprio per questo non è proprio sbagliato definirli degli autentici “uragani artici” (“Arctic hurricane” per gli inglesi). Ma la caratteristica più sorprendente di questi piccoli cicloni a “cuore caldo” è quella di svilupparsi sopra mari estremamente freddo, con temperature che possono oscillare dai +4°C ai +12°C, presentano molte caratteristiche analoghe ai cicloni tropicali.
In genere parliamo di vortici a mesoscala, e insistono per non più di un paio di giorni, con un ciclo di vita alquanto breve, salvo rare eccezioni. Alcuni meteorologi e climatologi sostengono che le “polar lows” rappresentano un vero e proprio vortice polare a mesoscala, contenente un nocciolo di aria molto gelida al proprio interno che lo autoalimenta per un ciclo di oltre 48-72 ore. In realtà le prime “polar lows” sono state osservate quando sono entrati di scena i satelliti, nel 1960. Le prime immagini satellitari mettevano in evidenza lo sviluppo di profondi vortici depressionari, chiusi a riccio, con intensa attività convettiva centrale, simili ai cicloni tropicali delle basse latitudini, proprio attorno il mar Glaciale Artico e più raramente a ridosso delle coste antartiche. Si è anche osservato che questi misteriosi cicloni polari si formano con una certa frequenza in inverno, sopra i mari liberi dai ghiacci, le cui temperature superficiali sono di poco superiori alla soglia degli +0°C. Difatti, non per caso, le “polar lows” si sviluppano soprattutto fra il mare di Norvegia, mare di Barents, mare del Labrador e Golfo di Alaska, bacini solitamente liberi dai ghiacci artici anche nel cuore della stagione invernale.
Bisogna anche sottolineare che, sebbene l’attività ciclonica è più diffusa nella regione artica euro-asiatica, con circa una media di 15-16 cicloni per ogni inverno, profondissime “polar lows” possono insorgere anche in Alaska, Groenlandia e nell’Artico canadese, con cicloni che possono presentare dei minimi barici da capogiro. Pur avendo dei massimi di frequenza in inverno le “polar lows” si possono verificare in qualsiasi momento durante l’anno. Tuttavia, le “polar lows” che nascono durante l’estate sono meno intense e meno profonde dei cicloni invernali. Negli ultimi anni è stato utilizzato pure il termine di “uragani artici”, (“Arctic hurricane”), per descriverli. Il paragone con i cugini delle basse latitudini non è così esagerato. Nella fase giovanile, questi spettacolari vortici artici, si caratterizzano per una forma piuttosto ristretta associata ad una forte rotazione centrale che determina lo sviluppo di grandi bande nuvolose spiraliformi, con profonda convezione interna, proprio come negli uragani che si formano in Atlantico o sull’oceano Pacifico.
Tali bande nuvolose spiraliformi, causa l’intenso moto vorticoso, inasprito sia dalla forza di Coriolis (che ai poli raggiunge la massima intensità) che dal profondissimo minimo barico centrale (può scendere sotto i 960 hPa), tendono a chiudersi a riccio, formando un occhio centrale, libero dalle nubi, molto ben visibile dalle immagini satellitari. In alcuni di questi cicloni è stata osservata anche una discreta attività temporalesca, con imponenti cumulonembi carichi di rovesci nevosi (date le basse temperature in sede artica), nella fase di approfondimento. Secondo recenti studi le “polar lows” si originano a seguito dell’afflusso di un nocciolo di aria molto fredda, per non dire gelida in quota, che dalla Calotta Artica tende a scorrere sopra la più mite superficie marina dei mari sub-polari.
Soprattutto quando questi presentano dei valori termici nettamente superiori alle medie. Il fortissimo “gradiente termico verticale” che si viene a sviluppare, fra l’aria gelida in quota e il mare più tiepido in superficie (valori > +8°C +10°C) origina una intensa attività convettiva attorno il centro della circolazione depressionaria, riempendo quest’ultima, tramite il flusso di calore latente prodotto dagli stessi temporali, di aria calda. Un po’ come avviene con i “TLC” (tropical like cyclone) mediterranei, durante l’avvio della cosiddetta “tropical transition”. Nel caso delle “polar lows” il nocciolo di aria gelida in quota, in media e alta troposfera, può produrre una forte ciclogenesi, anche in un’area di piccola baroclinicità, sfruttando il grande disequilibrio termodinamico fra aria fredda e mare più tiepido in superficie (Emanuel, K. Genesis and maintenance of” mediterranean hurricanes”). Questo sarebbe il caso delle “polar lows” che si sviluppano su mari estremamente freddi. La maggior parte delle “polar lows” si sviluppano in aree di forte instabilità “baroclina”, in seno a forti “gradienti termici orizzontali” che favoriscono la nascita di una depressione di tipo frontale.
Le “polar lows” caratterizzate da una forte attività convettiva, con a loro interno grossi cumulonembi forieri di rovesci nevosi e grandinigeni, generalmente si formano a ridosso di nuclei di aria gelida artica, presenti nella media e alta troposfera, lì dove i termometri possono scendere al di sotto dei -45°C. Ciò capita con le “polar lows” più profonde, spesso accompagnate da venti medi sostenuti che raggiungono lo status di uragano, con velocità di oltre i 130-150 km/h. Nelle “polar lows” meno intense, le bande nuvolose invece tendono ad assumere la forma simile ad una virgola, specie con i sistemi più vicino al fronte polare, mentre l’occhio centrale non è ben definito, spesso macchiato dalla nuvolosità centrale, che non assume forme spiccatamente spiraliformi. Un’altra caratteristica, simile ai cicloni tropicali, è quella del rapido dissipamento, non appena effettuano il “landfall” sulla terra ferma, tanto da ridursi in semplici depressioni delle medio-alte latitudini.
Purtroppo le “polar lows”, ancora oggi, vengono poco studiate, visto che interessano aree scarsamente popolate, oltre il circolo polare artico. Eppure il loro passaggio può cagionare danni molto gravi ad infrastrutture strategiche e alle piattaforme petrolifere (e di gas), ubicate sui mari sub-polari. Questi “uragani artici” rappresentano una seria minaccia anche per la navigazione marittima (attività di pesca e ricerca). Gli affondamenti di molti pescherecci e navi, lungo il mar Glaciale Artico, sono imputabili proprio al loro passaggio.
“Polar lows”: gli affascinanti uragani artici, ma come si originano?
Articolo di: Daniele Ingemi
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