Stanotte orologi indietro, torna l’ora solare. Alle 3 (ma si può fare ovviamente anche al momento di andare a dormire) si dovranno mettere le lancette sulle ore 2. E le ombre della sera arriveranno prima ad accompagnare la nostra vita invernale. La sensazione delle lunghe giornate di sole estive sarà definitivamente e drasticamente accantonata. In letargo fino al prossimo marzo. Ma tornerà davvero l’ora legale? Non si era detto che sarebbe stata abolita? Anche se ormai telefonini e orologi digitali ci pensano da soli, sarà l’ultima volta che facciamo avanti e indietro con le lancette? La storia è lunga e molto articolata. Poco più di tre anni fa, tra luglio e agosto 2018, era stata avanzata la proposta di abolire il meccanismo di spostamento dell’ora che è in vigore due volte all’anno ormai da tempo. Un apposito referendum, a cui avevano risposto poco meno di 5 milioni di cittadini (4,6 per l’esattezza, per lo più dei paesi del Nord Europa) l’84% si era detto favorevole a cancellare questo sistema. E allora? Nel frattempo non è successo quasi nulla, perché nella successiva discussione in sede di Commissione Europea non si raggiunse una decisione univoca che accontentasse tutti i Paesi membri. Il risultato è che al momento l’ora legale non è stata archiviata e, salvo sorprese, tornerà in vigore la prossima primavera. Almeno in Italia. Sembra proprio così. L’ora solare resterà attiva fino all’ultimo weekend del mese di marzo 2022, ovvero fino alla notte fra sabato 26 e domenica 27 marzo 2022, quando si rifarà il cambio e di nuovo avanti di un’ora.
LA RISOLUZIONE DELLA UE
Cosa aveva deciso il parlamento Europeo? L’esecutivo comunitario condusse la consultazione su richiesta dell’Europarlamento. Il dossier fu aperto in seguito alle richieste di alcuni Paesi tra cui Finlandia e Lituania ai quali si aggiunsero Estonia, Svezia e Polonia, ottenendo anche il sostegno di alcuni eurodeputati liberali tedeschi. Dopo la suddetta consultazione pubblica avvenuta tra luglio e agosto 2018, con l’84% dei voti a favore, la Ue aveva approvato l’abolizione dell’obbligo per i vari Paesi membri di passare da un’ora all’altra due volte all’anno. Ogni Stato, quindi, dovrebbe poter decidere in piena autonomia e secondo i propri interessi ed esigenze, entro la fine del 2021, se adottare per sempre l’ora legale o quella solare. È proprio quanto stabilisce la risoluzione legislativa approvata dagli eurodeputati con 410 voti a favore, 192 contrari e 51 astensioni, in base alla quale il 2021 potrebbe essere l’ultimo anno con un cambio stagionale dell’ora nell’Unione europea e gli Stati membri manterranno il diritto di decidere il proprio fuso orario. Nel testo si precisa che i Paesi dell’Ue che preferiscono mantenere l’ora solare dovrebbero spostare gli orologi per l’ultima volta l’ultima domenica di ottobre 2021, cioè stanotte.
I deputati hanno sostenuto la proposta della Commissione di porre fine al cambio stagionale dell’ora, ma avevano votato per rinviare la data dal 2019 al 2021. Era stato anche deciso che i Paesi Ue e la Commissione debbano coordinare le loro decisioni per garantire che l’applicazione dell’ora legale in alcuni Paesi e dell’ora solare in altri non perturbi il mercato interno. Nella risoluzione si afferma che la Commissione può presentare una proposta legislativa per rinviare la data di applicazione della direttiva fino al un massimo di 12 mesi se ritiene che le disposizioni previste possano pregiudicare in modo significativo e permanente il corretto funzionamento del mercato interno. Quel periodo è ormai scaduto. Il testo approvato nel 2019 rappresenta la posizione del Parlamento nei negoziati con i ministri Ue per la formulazione definitiva della normativa.
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L’ITALIA PER ORA NON CAMBIA
Insomma si prospetta una situazione molto articolata. Ogni Paese andrà per la sua strada, anzi per il suo orario? E in Italia che succederà? Per il momento è tutto confermato. Per il momento da noi resta il doppio cambio di orario ogni anno. Con buona pace dei virtuosi Nordici che, dall’introduzione dell’ora legale non sembrano trarre grandi profitti. L’Italia è schierata, insieme ad alcuni altri del bacino Mediterraneo come Spagna e Grecia, a favore del sistema attuale, perché permette maggiori vantaggi nello sfruttamento delle giornate e un minor dispendio energetico: allungare le giornate nel periodo estivo, quando il sole sorge alle 4.30 e tramonta alle 20, permette infatti di avere luce dalle 5.30 fino alle 21, allungando di fatto il periodo a disposizione per attività all’aria aperta, nei locali, a vantaggio quindi del turismo e anche del benessere generale. Consente, poi, di ridurre in consumi di energia elettrica in una fascia oraria in cui la gente è sveglia, come dalle 20 alle 21.
A giugno 2019 il primo governo Conte aveva depositato a Bruxelles una richiesta formale, a favore dello status quo. Le motivazioni, sostanzialmente, erano tre. La prima ragione è la «mancanza di una valutazione d’impatto dalla quale si possa evincere, in modo esaustivo, il quadro dei vantaggi e degli svantaggi». Non esisterebbe infatti una prova che quei due giorni all’anno in cui si cambia l’orario spostando avanti o indietro di un’ora le lancette comportino uno squilibrio psico-fisico. La seconda perplessità del governo italiano riguardava la possibilità che le differenti scelte degli Stati membri possano creare differenze di fusi orari. Questo metterebbe a rischio il corretto funzionamento del mercato comunitario. Il terzo motivo, sicuramente quantificabile, è di ordine economico. Grazie all’ora legale, come detto, per sei mesi l’anno le luci vengono accese un’ora dopo, permettendoci di risparmiare una bella somma di denaro. L’ora legale, nei fatti, permette enormi risparmi in termini sia di elettricità che gas. Il calcolo, eseguito da Terna – l’azienda italiana che gestisce la rete di trasmissione dell’energia elettrica – quantifica la riduzione di spesa.
IL RISPARMIO ENERGETICO
Vediamo nel dettaglio quanto davvero si risparmia. Secondo i calcoli di Terna, nei 7 mesi di ora legale che terminano stanotte il sistema elettrico italiano ha beneficiato di minori consumi per 450 milioni di kWh, pari al valore di fabbisogno medio annuo di circa 170 mila famiglie, con un conseguente risparmio economico di circa 105 milioni di euro. Ricadute positive anche in termini di sostenibilità ambientale: il minor consumo elettrico, infatti, ha consentito al Paese di evitare emissioni di CO2 in atmosfera per circa 215 mila tonnellate. Terna precisa che «il beneficio economico è calcolato considerando che quest’anno, nel periodo di ora legale cominciato domenica 28 marzo e che si concluderà alle prime ore di domenica 31 ottobre, il costo del kilowattora medio per il “cliente domestico tipo in tutela” (secondo i dati dell’Arera) è stato di circa 23 centesimi di euro al lordo delle imposte». Dal 2004 al 2021, secondo l’analisi della società guidata da Stefano Donnarumma, il minor consumo di energia elettrica per l’Italia dovuto all’ ora legale è stato complessivamente di circa 10,5 miliardi di kWh e ha comportato, in termini economici, un risparmio per i cittadini di oltre 1,8 miliardi di euro.
I PAESI CONTRARI CHE NON HANNO VANTAGGI
Ma non tutti i Paesi Ue la pensano così. E forse per alcuni, quelli nordici come detto, la volontà di abolire l’ora legale è giustificata. A chiedere di cancellare il cambio di orario sono stati soprattutto i paesi del nord Europa e quelli baltici, secondo i quali le ragioni del risparmio energetico non sono fondate. Almeno per loro, a quelle latitudini. Sono stati soprattutto loro a rispondere al sondaggio, lanciato da Bruxelles nel 2018, perché per le popolazioni che si trovano più vicine al Polo Nord, e quindi hanno giornate cortissime nella stagione fredda, e lunghissime durante quella calda, il vantaggio energetico è insignificante. In Finlandia, ad esempio, nei giorni più lunghi, il sole sorge prima delle quattro del mattino e tramonta quasi alle 23. L’ora guadagnata quindi non serve né ad avere più luce alla sera né a risparmiare energia. Quindi questo balletto con le lancette per loro è solo un disagio. Come, per esempio, è la posizione della Svizzera, che non fa parte della Ue ma che dal 1981 si è adeguata ai Paesi dell’Unione, sebbene nel 1978 l’introduzione dell’ora legale in Svizzera fu rifiutata in modo estremamente chiaro dall’83,8 per cento dei partecipanti a un referendum. Ma il Consiglio federale decise così. Poi l’anno scorso un comitato ha tentato di raccogliere le 100mila firme necessarie per istituire un nuovo referendum, ma anche a causa della pandemia ne ha raccolte appena la metà. Le motivazione della richiesta di abolizione? Per il comitato si spazia dagli effetti sulla salute di neonati e anziani, fino alla diminuzione della produzione di latte delle mucche.
Insomma non tutti sono d’accordo sull’utilità reale di questo doppio cambio. Secondo uno studio dell’Università della California, ad esempio, l’ora legale a poco servirebbe in estate quando le temperature elevate portano comunque a maggiori consumi elettrici dovuti all’uso di condizionatori, spesso anche durante le ore notturne, e al fatto che le persone stanno sveglie più a lungo. Risultati analoghi sono giunti da una ricerca del 2014, commissionata dalla Direzione trasporti e mobilità dell’Ue alla Icf International. Altri studi confermano che il risparmio sarebbe soltanto dello 0,5% sui consumi elettrici nazionali. Altre due analisi, condotte in Belgio e in Olanda, porterebbero invece a individuare un aumento degli incidenti stradali al momento del ritorno all’ora solare, pur senza riuscire ad individuare un legame diretto tra i due fattori. Stesso risultato era stato raggiunto anche da una ricerca della University of Colorado, che ha calcolato un incremento del 17% degli incidenti durante il periodo dell’ora legale.
RISCHIO CAOS
Dunque sembra che, almeno nella Ue, tutto sia da decidere ufficialmente. Ora legale sì, ora legale no: probabilmente ognuno andrà per la sua strada. Quando venne introdotta per la prima volta nel 1916 in Gran Bretagna e successivamente adottata anche da altri Paesi, rivelandosi utile soprattutto in tempo di guerra, nessuno pensava si arrivasse a questo punto. Sicuramente non lo pensava Benjamin Franklin che fu il primo a coltivarne l’idea nel 1784, tanto da ipotizzare questo cambiamento proprio per risparmiare energia. Nel XXI secolo invece siamo arrivati alla contrapposizione dei vantaggi e svantaggi. E ora si prospetta una situazione caotica, per esempio con la necessità di cambiare più volte fuso durante un lungo viaggio in Europa. Ma lasciare che ogni Stato decida per sé è rischioso. Se i fusi orari sono uguali per tutti i Paesi a una stessa latitudine, l’idea che si possano creare differenze anche a livello longitudinale spaventa e non poco: se tra Milano e Londra esiste un’ora di differenza per via del fuso, cosa potrebbe succedere introducendo variazioni anche tra la stessa Milano, Berlino e Parigi? Quindi ecco il dilemma: meglio l’attuale balletto avanti e indietro di un’ora – uguale più o meno per tutti quanti, due volte all’anno – oppure lasciare la libertà di scelta a ogni singolo paese? Il rischio è di dover compiere questa operazione, così noiosa, anziché due volte l’anno, ogni volta che si passa la frontiera. Senza dimenticare il caos che provocherebbe alle compagnie aeree nella programmazione dei voli, che andrebbero tutti rimodulati con i diversi orari.
Credit: Ilmessaggero